Il 10 maggio del 1933, alla presenza del Re d'Italia Vittorio Emanuele III, è inaugurata la V Triennale di Milano,
l'Esposizione Triennale Internazionale delle arti decorative e industriali moderne e dell’architettura moderna.
La mostra si svolge nelle sale del nuovo Palazzo dell’Arte, progettato da Giovanni Muzio,
e in un percorso all’aperto, nell’adiacente Parco Sempione, dove sono costruiti alcuni modelli di abitazioni.
Tra questi esperimenti, c'è anche la Casa a struttura di acciaio, che propone un elemento ripetibile di un "signorile" quartiere moderno.
Il progetto è firmato dall'architetto Giuseppe Pagano, nuovo direttore della rivista “Casabella”,
insieme a un gruppo di giovani laureati al Politecnico di Milano,
tra cui vi sono anche Franco Albini, Renato Camus e Giancarlo Palanti,
che di lì a poco avvieranno un proficuo sodalizio professionale.
La Casa ha quattro piani, i primi due sono privi di finiture murarie,
in modo da lasciare a vista la struttura d'acciaio realizzata dalle Officine Savigliano.
All’interno del penultimo piano, Albini e Palanti allestiscono un elegante alloggio moderno,
il cui spazio più importante è la sala di soggiorno, di fronte alla grande vetrata a nastro,
con un pavimento di linoleum bianco avorio, il divano e le poltrone a telai metallici,
la libreria con ripiani di cristallo e il pilastro rivestito di vetro diffusore per l'illuminazione.
L’anno successivo, il Palazzo dell’Arte riapre i battenti per la Mostra dell’Aeronautica italiana,
voluta da Marcello Visconti di Modrone, il podestà della Milano fascista.
Tra gli allestimenti più originali troviamo quelli della Sala delle medaglie d’oro,
ideata dal critico Edoardo Persico con l'artista Marcello Nizzoli, e quello della Sala dell’aerodinamica di Franco Albini.
Le due sale esprimono una singolare affinità, documentata dall’incontro tra gli oggetti fluttuanti nello spazio
(come le fotografie e i pannelli con i testi)
e la regolare geometria dei telai di sostegno, in metallo o in legno dipinto di bianco,
che ne scandiscono il timbro ritmico a differenti altezze.
Il lavoro di Albini è un punto di riferimento per le opinioni che Persico espone sulla rivista “Casabella”, a fianco di Giuseppe Pagano.
Il critico napoletano pubblica il progetto del padiglione permanente per l’Istituto Nazionale Assicurazioni
che Albini realizza alla XVI Fiera Campionaria di Milano nel 1935,
e che poi replica qualche mese più tardi alla Fiera del Levante di Bari.
Il suo commento è un deciso elogio: “certe opere, intellettualissime e raffinate come i padiglioni dell’Ina,
provano che i giovani architetti vanno creando uno stile realmente italiano nell’ambito del gusto europeo”.
Secondo Persico, che nei suoi interventi non nasconde l'adesione a una linea spirituale e antifascista,
questo “europeismo” degli architetti "razionalisti" italiani, unici paladini della Modernità,
trova nella città di Milano un fertile terreno di sviluppo.
E forse non a caso, sulla via del "razionalismo artistico" di Albini, Persico colloca le opere di altri giovani promesse della Scuola di Milano,
freschi di laurea al Politecnico di Milano:
l'ingegner Ignazio Gardella e il gruppo BBPR, formato nel 1932 dagli architetti Gianluigi Banfi,
Ludovico Belgiojoso, Enrico Peressutti e Ernesto Nathan Rogers.
L'11 gennaio 1936, Persico viene ritrovato morto nel suo appartamento milanese, un mese prima di compiere 36 anni.
È reduce dagli interrogatori della polizia fascista, tenuti nel carcere di San Vittore,
mentre è impegnato nella consegna del progetto di concorso per il Salone d’Onore della VI Triennale di Milano,
firmato insieme a Nizzoli e Palanti, con quella magnifica scultura di Lucio Fontana; un progetto che risulterà vincitore, proprio nello stesso mese.
Per questa nuova edizione della Triennale, inaugurata nel maggio del 1936 al Palazzo dell'Arte,
Franco Albini e Giovanni Romano predispongono la Mostra dell’antica oreficeria italiana, che è un po' un omaggio all’amico scomparso,
riprendendo la logica strutturale dei negozi Parker allestiti a Milano da Persico e Nizzoli:
i preziosi oggetti d’arte sono contenuti in ventiquattro parallelepipedi di cristallo “securit”,
sospesi da bianche aste metalliche tra pavimento e soffitto neri,
e illuminati da lampade e dalla grande parete di fondo concava.
Il risultato è un’atmosfera fatta di segni luminosi che invitano alla scoperta dei segreti dell’arte orafa.
Nella stessa occasione, Albini propone da solo un altro allestimento:
si tratta della Stanza per un uomo, eseguita dal mobilificio Dassi,
per mettere in scena, come si legge nel catalogo, “la vita di un individuo:
dal riposo alla toletta, alla ginnastica, allo studio”.
Su un modulo geometrico segnato sul pavimento di linoleum bianco, e davanti a una grande parete a lastre irregolari di beola a spacco naturale,
Albini colloca: una libreria di cristallo a tutt’altezza, un tavolo con lastra di marmo verde,
un letto sospeso a più di due metri da terra da un tubo metallico a sezione quadrata,
un armadio di linoleum con tre ante a coulisse di pero nero opaco, le poltroncine,
gli apparecchi sanitari (con un box doccia trasparente d'avanguardia),
l’impianto di illuminazione e gli attrezzi sportivi appoggiati a griglie.
I concetti guida per l’organizzazione dell’ambiente sono di uno scarno realismo, che esalta le qualità della produzione in serie,
mentre l’arredo meticoloso, la giacca e i pantaloni appesi al telaio dell’irraggiungibile letto,
il vogatore, gli sci e la racchetta da tennis,
e persino gli esercizi ginnici serigrafati su un pannello di vetro compongono,
insieme al fondale di beola, una scena in cui si fondono la celebrazione dei valori della massima economia spaziale
con quelli di un modello di vita pienamente moderno.
Comincia a questo punto una nuova stagione per Albini, che in questi anni intensifica la collaborazione con Renato Camus e Giancarlo Palanti
per i progetti di concorso indetti dall’Istituto Fascista Autonomo Case Popolari di Milano.
Nei quartieri Fabio Filzi (1936-38), Gabriele D’Annunzio (1938-40) ed Ettore Ponti (1939),
la cui realizzazione è condizionata dalle rigide normative edilizie sul tema della casa “ultrapopolare”,
Albini, Camus e Palanti predispongono metafisiche “oasi di ordine” nella periferia milanese,
che in quegli anni appunto è coinvolta nei primi processi di urbanizzazione,
e lo fanno attraverso una rigorosa regola geometrica
che organizza la distribuzione planimetrica dei vari tipi di alloggio.
Il sodalizio con Palanti, compagno di scuola e redattore di “Casabella”
con il quale Albini divide lo studio milanese di via Panizza e anche alcuni incarichi professionali,
trova altri significativi approdi nella partecipazione ad alcuni concorsi,
che i due architetti firmano con Ignazio Gardella e Giovanni Romano alla fine degli anni Trenta.
Tra questi, nell’ambito dell’Esposizione Universale di Roma (E42), citiamo il Palazzo della Civiltà Italiana (1938)
e il Palazzo dell’Acqua e della Luce (1939) in cui è coinvolto anche Giulio Minoletti.
Le asciutte iconografie di questi progetti sono però dominate dagli intenti celebrativi,
che gli architetti non riescono a tradurre nell’intreccio tra classicità e “rinascimento europeo”
indicato poco prima da Persico con il Salone d’Onore della VI Triennale nel 1936.
In questo senso, Albini e Gardella sembrano non voler praticare il confronto tra le proprie personalità,
rinviando l’appuntamento agli esperimenti sulla residenza popolare avviati nel dopoguerra.
Forse il miglior risultato del lavoro di questo gruppo di architetti razionalisti milanesi si coglie quando,
sotto la guida di Giuseppe Pagano e la collaborazione di Giangiacomo Predaval,
essi firmano il progetto di Milano Verde: contro il “disordine” della città storica,
“l’ordine” di una modernità aperta alla natura puntualizza i caratteri di una nuova metropoli europea.
Corre l'anno 1938. L'Italia fascista salda l'alleanza con la Germania nazista:
Mussolini riceve con tutti gli onori la visita di stato di Adolf Hitler e nello stesso anno promulga le leggi razziali.
Siamo alla vigilia della Seconda guerra mondiale, nel prologo della grande tragedia del XX secolo.